giovedì 11 marzo 2010
Duecento milioni di cristiani discriminati
Focus
Fede e politica
I numeri Considerate tutte le confessioni, superano i due miliardi. Su di loro tre quarti dei soprusi Il rapporto L' osservatore della Santa Sede all' Onu: crescono le violenze e l' impossibilità di essere riconosciuti come cittadini con pieni diritti
Duecento milioni di cristiani discriminati
«Cristianofobia» Il libro di Guitton: «L' Occidente fa fatica a concepire che i cristiani possano essere perseguitati in quanto tali» Rastrellamenti in Iraq, conversioni forzate nel Laos La minoranza religiosa più perseguitata nel mondo
N on fosse per le (prevedibili) reazioni, gli scontri fra cristiani e indù e le due chiese bruciate, l' immagine di Gesù che si beve una birra e fuma una sigaretta nell' abbecedario indiano scoperto il mese scorso dalle suore del Maghalaya, per quanto provocatoria e blasfema, sarebbe ancora il meno. Ci sono notizie che sfilano quasi ignorate: chi ha idea che nel Laos, a gennaio, siano stati messi agli arresti 48 cristiani nel distretto di Ta-Oyl «finché non rinunceranno alla loro confessione»? Stando al racconto dell' «International christian concern», gli ufficiali del distretto «hanno puntato le pistole alle teste dei cristiani» che però «si sono rifiutati di obbedire all' ordine di rinunciare alla propria fede». E poi ci sono i cristiani trascinati nella foresta, appesi agli alberi e crocifissi in Sudan, sette il 13 agosto dell' anno scorso, altri sei di lì a tre giorni, e chissà che altro è accaduto senza che si sapesse. Oppure quelli stanati casa per casa a Mosul, in Iraq, «hanno mirato con le pistole da pochi centimetri alla bocca, poi alla testa e quando i miei cari sono caduti a terra hanno tirato ai polmoni», raccontava la settimana scorsa al Corriere padre Mazen Matoka: i sicari gli hanno ammazzato padre e due fratelli. O ancora i pogrom anticristiani nell' Orissa degli integralisti indù, i cristiani bruciati vivi nel Punjab pachistano da fanatici islamisti, l' elenco degli orrori si arricchisce di anno in anno ed è più o meno noto come la «blasfemia» - magari con relativa condanna a morte - contestata in Paesi come l' Arabia Saudita se uno s' azzarda a portare un crocifisso. La stessa condanna a morte toccata a una madre in Corea del Nord, ammazzata dal regime comunista di Kim Jong-II perché accusata di regalare Bibbie. Eccetera, eccetera. La sintesi della situazione, il 26 ottobre a New York, l' ha fatta l' arcivescovo Celestino Migliore, osservatore permanente della Santa Sede all' Onu: «Con l' aumento dell' intolleranza religiosa nel mondo, è ben documentato che quello dei cristiani è il gruppo religioso più discriminato perché potrebbero essercene ben più di 200 milioni, di differenti confessioni, che sono in situazioni di difficoltà a causa di strutture legali e culturali che portano alla loro discriminazione». Al telefono da Manhattan, l' arcivescovo Migliore tira un sospiro: «Mi sono appoggiato a statistiche fatte con accuratezza, proprio per dire l' ampiezza del fenomeno e anche per mettere nelle giuste proporzioni ciò che sta avvenendo. Sa com' è, a volte si ha l' impressione che con i cristiani si possa dire e fare tutto, quasi impunemente. E invece questa larga macchia esiste, nel mondo: persecuzione in alcuni casi, in altri discriminazione, in altri ancora condizioni tali da costringere i fedeli alla fuga o situazioni più velate, l' impossibilità di essere riconosciuti come pieni cittadini... Tutti fenomeni reali che stanno crescendo e richiedono una presa di coscienza». Non che i cristiani, di per sé, siano minoranza. I fedeli cattolici battezzati nel mondo, in base all' ultimo Annuario vaticano, erano un miliardo e 166 milioni alla fine del 2008, con un aumento di 19 milioni (più 1,7 per cento) rispetto all' anno precedente. Considerate tutte le confessioni, i cristiani superano i due miliardi: un abitante del pianeta su tre. Eppure molti non se la passano bene, specie nelle tante zone dove sono una minoranza sparuta. «Possiamo stimare che tra il 75 e l' 85 per cento degli atti contro una religione riguardi i credenti in Cristo», ha spiegato di recente ad Avvenire Berthold Pelster, ricercatore di «Aiuto alla Chiesa che soffre», l' associazione che stila un rapporto annuale sulla situazione dei cristiani nel mondo. Considerata l' ultima mappa, dall' Africa al Medio ed Estremo Oriente, non c' è molto da stare allegri. Il rapporto di «Aiuto alla Chiesa che soffre» elenca 60 Paesi nel mondo nei quali la libertà religiosa è violata. Con tutte le gradazioni del caso: dai massacri all' impossibilità di esercitare liberamente il proprio culto. Nel 2009, tra l' altro, sono stati uccisi 37 missionari, calcola l' agenzia Fides della Congregazione vaticana per l' Evangelizzazione dei popoli: 30 sacerdoti, 2 religiose, 2 seminaristi, 3 volontari laici. Quasi il doppio dell' anno precedente, il numero più alto degli ultimi dieci anni, e soprattutto nel continente americano. «L' Occidente laico sembra non capire», considera Louis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk: che calcola «825 cristiani ammazzati in Iraq dal 2003». La stessa considerazione che si legge in un libro di René Guitton, Cristianofobia. La nuova persecuzione (Lindau), che è stato un caso editoriale in Francia ed è appena uscito in Italia: «Il sempre più scristianizzato Occidente fa fatica a concepire che i cristiani possano essere perseguitati in quanto cristiani, perché essere tali, secondo uno slogan semplicistico che si sente ripetere spesso, significa stare al potere». Gli stessi cristiani, scrive il laico Guitton, «faticano ad associare al cristianesimo il concetto di minoranza». Cristianofobia? L' arcivescovo Celestino Migliore preferisce evitare queste categorie: «In genere non amiamo molto parlare in termini di "fobie", che si tratti di cristiani, ebrei, musulmani o altro. È un po' come quando si parla di "diffamazione" delle religioni. Suggestivo, ma rischia di essere un paravento per non parlare della vera questione». E cioè? «Il diritto alla libertà religiosa contenuto nella dichiarazione universale dei diritti dell' uomo. Un diritto che non riguarda gruppi o istituzioni, ma è personale». Il punto è molto concreto: «Qui alle Nazioni Unite insistere sul diritto alla libertà religiosa significa chiedere di approfondirlo, vedere come è fatto rispettare nelle singole legislazioni nazionali. Questo è un compito dei governi: si tratta di trovare sintomi e cause di avvelenamento dei rapporti sociali, politici e anche geopolitici, a volte». La guerra di religione può essere un paravento per altri interessi. Anche se, certo, «nell' avvelenamento ci possono essere pure dei sintomi religiosi», considera l' arcivescovo: «Questo però è un aspetto che non ci attendiamo sia affrontato dai governi o dalle organizzazioni internazionali. Va condotto dai credenti: di qui l' importanza del dialogo interreligioso». L' importante è distinguere i piani: «La "diffamazione" della religione è un problema reale e non lo disconosciamo, ma va riequilibrato e messo nel suo giusto contesto».
Gian Guido Vecchi
Pagina 15(9 marzo 2010) - Corriere della Sera
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