sabato 26 settembre 2009

Torno a graffiare,non vorrei pensaste che sono diventato buono

Volevo farvi credere di essere improvvisamente cambiato,un novello San Francesco (vi consiglio la lettura del libro di Franco Cardini,per avere un'idea meno da soap opera del santo) coi precedenti post,ma poi gli amici più grandi mi hanno dato a sveglia e sono tornato al loro fianco.Gli articoli seguenti,non interessano solo alcuni "intellettuali",non sono di "nicchia",sono una sfida,l'ennesima,all'intelligenza e libertà di ognuno.La cultura dominante invoglia ad allontanarsi dalla realtà così sporca, a rinchiudersi nelle proprie sacrestie particolari,a inventarsi isole felici fuori dal mondo.Cristo ha scelto d'incarnarsi,è entrato nella realtà,non ha vissuto i primi trent'anni alle terme a disquisire amabilmente e gli altri tre nel tempio coi migliori.Quindi fuori dalle tane,sporchiamoci le mani,il sale del mondo sia sale,non zuccherino per diabetici.


Le belle parole sul risorgimento che fanno a pugni con la realtà
Oggi alle 10.09
(Libero, 25-09-09)


Ma quanto sono belle le belle parole! Bisogna ammetterlo: le belle parole sono musica per le nostre orecchie. E Circe era un pericolo molto serio per Ulisse! Dunque: vanno ancora di moda le espressioni suadenti da tanti decenni in voga per definire il nostro Risorgimento: moralità, costituzione, libertà, lotta all’oscurantismo e al dogmatismo, libera chiesa in libero stato. Nei nostri giornali è tutto un fiorire di bei ricordi. E, quando non ci si abbandona al come eravamo (sottinteso bravi), l’attacco personale è sempre a portata di mano e sempre efficace: “Angela Pellicciari è una studiosa seria ma anche molto militante”. Di qui al parogone con Ahmadinejad il passo è breve ed obbligato. A suggerirlo è un giornalista carico di anni e di imparzialità professionale.Possibile? Sì. Qualche tempo fa’ sono stata accusata di filonazismo ed oggi, in stretta continuità, si passa all’analogia con chi l’olocausto continua a negare. Viene da chiedersi: chi difende il Risorgimento non ha altri argomenti da utilizzare? Da parte mia continuo testardamente a raccontare fatti. Non parole. Questi giorni, per esempio, viene ricordata la massima cavouriana (che cavouriana non era, ma del cattolico conte di Montalembert) “libera chiesa in libero stato”. Nessuno la contesta. Ma nessuno spiega nemmeno come sia stato possibile che, in nome della libera chiesa, il Regno di Sardegna prima ed il Regno d’Italia poi, abbiano soppresso tutti gli ordini religiosi, ne abbiano incamerato (derubato) i beni ed abbiano ridotto frati e monaci a mendicanti senza casa, senza libri, senza lavoro. In nome di quale libertà Cavour ha proibito la circolazione delle encicliche di Pio IX? Che libertà è quella degli articoli 268, 269 e 270 del codice penale piemontese che comminano multe e carcere ai sacerdoti che osano mettere in dubbio i dogmi della libertà liberale? Tanto per citarne uno, l’articolo 268 punisce “severamente i sacerdoti pei peccati di parole, d’opere e di omissioni, che commettessero contro la libertà. Al sacerdote che pronuncia in pubblica adunanza un discorso contenente censura delle istituzioni e delle leggi dello Stato duemila lire di multa e due anni di carcere… Al sacerdote che coll’indebito rifiuto dei propri uffizi turba la coscienza pubblica o la pace delle famiglie, duemila lire di multa e due anni di carcere”. Come si risolve una contraddizione tanto stridente: come conciliare il desiderio manifesto di annientare la chiesa col proposito dichiarato di difenderne la libertà? Per capire come l’élite liberale sia riuscita nella quadratura del cerchio, basta analizzare il discorso che Carlo Cadorna fa alla Camera subalpina il 20 febbraio 1855. Cadorna, a nome della maggioranza di governo, sta illustrando le ragioni che inducono a sopprimere, in nome della libertà, 35 corporazioni religiose del cattolico Piemonte.Cadorna parte dalla causa prima: Dio. E’ per volontà divina, sostiene, che esistono sia il potere spirituale sia quello temporale. Quale la differenza? Semplice: al potere spirituale compete l’autorità sull’anima, vale a dire sui “pensieri, le aspirazioni e le credenze”, tutto il resto appartiene al potere temporale che, a volte, ed erroneamente, Cadorna confonde col potere materiale. Messe così le cose la conseguenza è ovvia: tutto ciò che si vede è di competenza dello stato, quanto non si vede (l’anima per l’appunto) di competenza del papa. E pertanto, stabilisce Cadorna, le proprietà della chiesa “non divengono spirituali per ciò solo che sono destinati al culto”. I beni della Chiesa insomma sono a buon diritto beni che, in quanto visibili, appartengono a pieno titolo allo Stato che può disporne a piacimento.Il Corriere del 18 settembre titolava a tutta pagina: “Quel sogno fallito di Cavour/ La separazione fra stato e chiesa, che lui avrebbe voluto, viene tradita da 150 anni”. Bellissime parole. Belle parole davvero!

Angela Pellicciari


Calabria
Ieri alle 22.27

Rino Camilleri

Interventi musulmani sulle coste italiane nel solo XVI secolo: «1501, riduzione in schiavitù degli abitanti dell’isola di Pianosa; 1516, sbarco a Lavinio, dove lo stesso papa Leone X riuscì a sfuggire miracolosamente alla cattura; nel 1530 Kair ed-din detto Barbarossa, bey di Algeri e alleato di Francesco I, assaliva e devastava le coste tirreniche del Reame (di Napoli, ndr); 1534, sbarchi a Cetraro e San Lucido di Calabria, in vari luoghi del golfo di Napoli, a Sperlonga e a Fondi, nel Lazio; 1543, sbarchi a Messina e Reggio; 1544, in Liguria e a Talamone in Toscana; riduzione in schiavitù degli abitanti di Castellamare di Stabia e Pozzuoli; 1550, saccheggio di Rapallo; ancora nel 1550 un Mustafà, nel 1552 Sinan pascià attaccavano Reggio (…) e Draut raìs bruciava San Lucido; 1551 e 1552, saccheggio di Augusta; 1554, a Vieste, sulla costa pugliese, furono catturati 6mila abitanti; 1555, saccheggio di Paola; 1558, riduzione in schiavitù degli abitanti di Sorrento; 1560, sbarco a Villafranca, dove il duca di Savoia, Emanuele Filiberto, rischiò la cattura; era presa e distrutta Cariati, e il suo vescovo catturato; tra il 1561 e il 1565 saccheggio di Porto Maurizio, Antignano, Celle, Albissola; 1566 sbarchi a Ortona e Vasto, in Abruzzo. Le incursioni dei Turchi e Barbareschi dovevano continuare anche dopo Lepanto (…). Nel 1590 era bruciata Bovalino; nel 1594 il pascià Cicala (…) distruggeva dalle fondamenta Reggio (…). Nel 1625 bruciava Gioia, nel 1636 Nicotera. Nel 1644 e ’45…». Eccetera. Quella che avete letto è una mezza pagina di Controstoria delle Calabrie (Rubettino) di Ulderico Nisticò. Lo consiglio, e non solo ai lettori calabresi.


Cittadinanza agli immigrati: perché Fini sbaglia

Ieri alle 9.13
Una nota di Massimo Introvigne

Il dado è tratto. Dopo tanti annunci, venti deputati finiani – insieme a trenta dell’opposizione – hanno presentato una proposta di legge che permette agli extracomunitari di diventare cittadini italiani dopo soli cinque anni di residenza, passando un test d’integrazione. La proposta piace a tanta sinistra. Ma è sbagliata. Avrebbe i suoi principali effetti su circa un milione d’immigrati musulmani. Altri extracomunitari sono statisticamente minoritari o, come i cinesi, preferiscono tenersi la cittadinanza del Paese di origine.Non sarà politicamente corretto, ma è dunque dei musulmani – e di religione – che si deve parlare. I deputati che ci raccontano che la proposta sulla cittadinanza è laica e la religione non c’entra ingannano se stessi e gli elettori. Oggi i musulmani cittadini italiani sono meno di diecimila. Molti sono fasulli: sono italiani che hanno finto di convertirsi all’islam per potere sposare donne musulmane – cui diversamente i consolati dei Paesi di origine avrebbero negato le carte – ma si sono dimenticati della conversione dopo il matrimonio. Con la nuova legge i cittadini italiani musulmani passerebbero potenzialmente da qualche migliaio a centinaia di migliaia. Siamo pronti a questa radicale modifica della nozione di cittadino italiano? Non lo siamo. Nessuno lo è. Nessuna civiltà nella storia è riuscita a fronteggiare senza esserne distrutta l’acquisizione come cittadini in così poco tempo di così tante persone portatrici di una cultura e di una religione sia radicalmente diverse sia forti. Diverso era il caso dei barbari dell’antichità, che portavano in Europa eserciti forti ma una cultura debole; o degli irlandesi e italiani emigrati in passato negli Stati Uniti il cui cattolicesimo era diverso dal protestantesimo maggioritario in America ma non così radicalmente diverso com’è l’islam rispetto alla mentalità italiana di oggi. Ci raccontano che negli Stati Uniti i musulmani diventano cittadini con una norma simile a quella di Fini e si integrano senza problemi. Ma i cittadini musulmani di origine straniera in America sono due milioni. Se ce ne fossero in una percentuale sul totale della popolazione simile a quella degli immigrati islamici in Italia sarebbero quaranta milioni, non due, e neppure l’esperienza americana riuscirebbe ad assimilarne così tanti.C’è un’altra ragione più profonda per andare con i piedi di piombo sulla cittadinanza. Per difendere la propria cultura e integrare nuovi cittadini bisogna, almeno, volerlo. Non è affatto sicuro che l’Italia di oggi abbia le idee chiare su quale cultura voglia difendere e proporre agli immigrati. Quale sarà il contenuto del “test d’integrazione civica”? Le radici cristiane dell’Europa o la mentalità di “Repubblica”? Senza dimenticare che in Gran Bretagna e Francia fior di terroristi arrestati mentre preparavano attentati erano cittadini che avevano passato a pieni voti i test d’integrazione, della cui serietà si può dunque dubitare.Infine una domanda. Gli amici del presidente Fini chiedono più democrazia in Italia. I sondaggi ci assicurano che la grande maggioranza degli italiani non vuole l’accesso facile alla cittadinanza per gli extracomunitari. Ignorare l’opinione della maggioranza degli elettori è per caso una nuova forma di democrazia?

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