lunedì 3 ottobre 2011

Finche c'è Silvio c'è speranza

Nove parlamentari cattolici del PDL scrivono al cardinale Bagnasco sul caso Berlusconi

Eminenza Reverendissima,

Le scriviamo innanzitutto per condividere la preoccupata analisi a tutto campo che Lei ha svolto nella sua ultima prolusione, in un momento storico delicato per il nostro paese e per la comunità internazionale, colpita dalla crisi economica e tormentata da guerre ancora in atto. Una riflessione che deve far riflettere innanzitutto la classe dirigente, coloro che hanno responsabilità nella gestione della cosa pubblica. È palpabile, da qualche tempo, “un’insicurezza che si va cristallizzando, e finisce per prendere una forma apprensiva dinanzi al temuto dileguarsi di quegli ancoraggi esistenziali per i quali ognuno si industria e fatica, essendo essi ragione di una stabilità messa oggi in discussione, per cause in larga misura non dipendenti da noi”.

Anche per questo le immagini della giornata mondiale della gioventù di Madrid sono state un conforto, che ci ha riempito il cuore di speranza, per i tanti giovani che si sono raccolti attorno a Benedetto XVI.

Ma questa è stata soprattutto l’estate in cui la crisi ha dato segni di “pericolosa recrudescenza”. Abbiamo tutti ben presenti le difficoltà fra le quali abbiamo cercato di fronteggiare il morso speculativo che si è concentrato ultimamente sulle nazioni ad alto debito pubblico. Difficoltà dovute anche ad egoismi corporativi, per i quali non è possibile rinunciare a niente di quanto già ottenuto, e per i quali ogni sacrificio è buono, purché riguardi gli altri.

Nel nostro agire politico, uno dei punti di riferimento è sempre stato quello che Benedetto XVI indica con felice sintesi nella Caritas in veritate, quando afferma che la questione sociale è diventata radicalmente antropologica; che senza andare alla radice, senza affermare la centralità della persona sin dalla sua origine, senza fissare il diritto alla vita come inalienabile non può esserci solidarietà, considerazione dell’altro, anelito alla giustizia. Nel Pdl, pure composto da diverse culture, c’è una convergenza comune su questa analisi: si vuole conservare quella che Giovanni Paolo II definì "eccezione italiana", quell’orientamento che investe e forma anche l’azione di tanti che non si professano credenti, e però condividono una cultura e una visione antropologica cristiana, che nel nostro paese ha radici profonde e solide. Ne è testimonianza l'impegno per affermare nella dimensione pubblica i principi non negoziabili che attengono alla persona e alla sua centralità, dal concepimento al naturale tramonto, dall'affermazione di un'identità che si fondi su una tradizione e ne riconosca i simboli, alla costruzione di un modello socio-economico sensibile alla sussidiarietà ed efficace nei confronti delle situazioni di fragilità.

Non vogliamo tuttavia nasconderci dietro a un dito: ci rendiamo conto che alcuni
comportamenti personali, pur mai esibiti, ma diventati clamorosamente pubblici grazie a un’intrusione violenta nel privato, sono sottoposti al giudizio pubblico; sappiamo che la Chiesa non può esimersi dal giudicare, e naturalmente lo fa secondo la
dottrina e la morale cristiana. Abbiamo a maggior ragione apprezzato le considerazioni sulla magistratura, proposte già nella precedente prolusione e oggi sottolineate con maggior forza: “l’ingente mole di strumenti di indagine messa in campo” nei

confronti di un’unica persona, “quando altri restano indisturbati”. Il che non significa limitarsi a stigmatizzare determinati trattamenti "ad personam": significa, piuttosto, mettere in guardia dal danno irreparabile che la supina e legittimante accettazione di una violazione sistematica delle regole potrebbe cagionare allo stesso Stato di diritto, patrimonio condiviso di una comunità nazionale e soprattutto, come ha evidenziato Benedetto XVI nel suo discorso al Parlamento tedesco, proiezione terrena della capacità di distinguere fra il bene e il male.

Vogliamo inoltre far notare che quando la Chiesa parla di “comportamenti licenziosi e relazioni improprie”, di “pansessualismo” e relativismo etico, il suo invito va accolto considerandone il significato e il valore a tutto tondo. Non possiamo accettare che siano gli alfieri del laicismo più sprezzante, chi abitualmente dileggia la morale sessuale cattolica e vorrebbe una Chiesa muta e intimidita, a plaudire oggi alle parole dei vescovi italiani, utilizzate strumentalmente e applicate in modo unilaterale, con esclusivo riferimento al Presidente del Consiglio. Non accettiamo quindi che giudizi violenti e definitivi vengano da altre cattedre, che si sono sempre contraddistinte per il doppio peso con cui hanno giudicato e continuano a giudicare la Chiesa a seconda della convenienza politica.

Così come abbiamo scritto nella lettera aperta di qualche mese fa, continuiamo a pensare che un politico vada innanzitutto giudicato da politico, e che il reato e il peccato vadano tenuti distinti.

Non sappiamo quanto di tutto questo immenso polverone rimarrà, dal punto di vista giudiziario. Sappiamo però che anche questo è un immenso polverone che ammorba l’aria, confonde le priorità e annebbia il giudizio di tanti.

Raffaele Calabrò

Roberto Formigoni

Maurizio Gasparri

Maurizio Lupi

Alfredo Mantovano

Mario Mauro

Gaetano Quagliariello

Eugenia Roccella

Maurizio Sacconi

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