lunedì 27 dicembre 2010

Liturgia e "protestantesimo" tradizionalista


di Andrea Tornielli



Cari amici, nel rinnovarvi gli auguri di Buon Natale, vi segnalo che sul Giornale di ieri ho pubblicato un’ampia intervista al Prefetto della Congregazione del culto Divino, il cardinale Antonio Canizares Llovera(nel post precedente il testo integrale). Il cardinale – dopo aver denunciato la fretta con cui è stata realizzata la riforma post-conciliare – spiega che cosa stia facendo la Congregazione per dar vita a un nuovo movimento liturgico che faccia recuperare sacralità al rito secondo le indicazioni della Costituzione Sacrosanctum Concilium del Vaticano II. Canizares anticipa alcune iniziative del dicastero, che riguardano la formazione, la catechesi, la predicazione, l’arte e la musica sacra.

Ho letto con interesse alcuni commenti postati su altri blog che già ieri hanno ripreso l’intervista (mi riferisco a paparatzinger blog e al blog messainlatino) e mi permetto di fare qui alcune osservazioni, che riguardano la liturgia ma più in generale anche l’atteggiamento nei confronti del Concilio Vaticano II, anche in merito al dibattito suscitato dal libro Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta (Lindau) recentemente pubblicato dallo storico Roberto de Mattei .

Come premessa dico che non mi piace usare l’aggettivo “tradizionalisti”, così come non mi piace che chi segue l’antico rito (chiamandolo a mio avviso erroneamente “la messa di sempre”, come se io che seguo il rito post-conciliare, andassi a una “messa di mai”) sia definito “modernista”.

Mi stupisce innanzitutto che di fronte ai gesti di Benedetto XVI, volti a far recuperare sacralità al rito cattolico, come pure concessioni importanti quale è stato il Motu proprio Summorum Pontificum, invece che favorire la riconciliazione auspicata dal Pontefice, secondo quell’ermeneutica “della riforma, del rinnovamento nella continuità” (ricordiamolo: non solo “nella continuità” ma anche “della riforma”), si siano consolidati talvolta atteggiamenti di rigidità. Cari amici, io non sopporto la banalizzazione della liturgia, la creatività che riduce il rito a opera delle nostre mani, l’assenza di silenzio, la musica che nulla ha a che fare con la messa, etc. etc.

Ma devo aggiungere: con onestà dobbiamo riconoscere che questa non è la regola dappertutto, anzi. Rispetto a qualche anno o decennio fa, gli abusi sono notevolmente diminuiti, ci sono notevoli differenza tra Paese e Paese. Per questo mi stupisce che, in fondo, si considerino le parole del cardinale Canizares, interprete vero e sincero di Benedetto XVI, come espressione di debolezza, per il fatto che lui – per volere del Papa – sta lavorando per suscitare un nuovo forte movimento liturgico.

Diaciamocela tutta: molti (o alcuni, o pochi, giudicate voi) tradizionalisti non amano l’ermeneutica della continuità di Benedetto XVI, perché, in fondo, ritengono che vada abolito il Concilio. Perché ritengono che vada abolita in toto la riforma litturgica. Arrivano a dire che bisogna che Roma si riconcili con la Tradizione. Ma quale Tradizione? Quella fissata da loro. La Tradizione è sempre stata vivente, e siccome il cristianesimo è costitutivamente un avvenimento che entra nella storia - Dio che si fa carne, muore in croce per i nostri peccati e risorge aprendoci le porte del Paradiso e promettendoci il centuplo quaggiù. La Chiesa si aggiorna, vive le sfide del tempo. Cerca di presentare in modo sempre adeguato le verità di sempre.

Vedete, io temo che certo tradizionalismo possa scivolare proprio nel suo esatto contrario, il protestantesimo. O meglio, il gallicanesimo. Chi dà il diritto a questo o quel tradizionalista di dire: questa è la Tradizione, Roma sta sbagliando? Chi dà l’autorità di decidere? Il tradizionalismo non è il magistero. Chi dà il diritto di buttare a mare, talvolta con irrisione e disprezzo, il Concilio Vaticano II? Forse il ricorso all’autorità dell’arcivescovo Marcel Lefebvre (pace all’anima sua), presentato ora in modo agiografico, come un santo padre della Chiesa?

Chi permette a molti tradizionalisti - sulla base del fatto che il Vaticano II non ha pronunciato nuovi dogmi – di declassare il Concilio come “pastorale” e dunque ininfluente e non da seguire? Il 95 per cento del magistero non è dogmatico, ma ordinario. Il cattolico però è tenuto a seguirlo. E poi – lo dico senza intenti polemici – come si può davvero credere che il Papa legittimamente eletto, al quale Gesù ha assicurato il potere delle Chiavi e la speciale assistenza dello Spirito Santo, insieme a tutti i vescovi che hanno votato quasi all’unanimità i documenti del Vaticano II (Lefebvre compreso), uniti in Concilio, possano aver sbagliato?

Essere con Pietro e con i vescovi in comunione con lui significa essere cattolici. Altrimenti io potrei dire che considero modernista Pio X (quante riforme ha fatto, e se a me non piacessero o le ritenessi inadeguate ai tempi e non in linea con il magistero liturgico di Gregorio XVI o Leone Magno?), e che voglio fermarmi al Vaticano I e a Pio IX. Un altro potrebbe dirmi che non accetta il Vaticano I e il dogma dell’infallibilità papale (che rappresenta un incontestabile sviluppo della Tradizione, e che non è accettato dagli ortodossi). Un altro potrebbe dirmi che l’unico punto fermo è il Concilio di Trento, mentre un altro ancora potrebbe cercare di dimostrarmi che il rito mozarabico celebrato a Toledo non è cattolico…

Questo è il “protestantesimo” tradizionalista, perché se le posizioni di mons. Lefebvre, questo o quel teologo, alcune teorie del laico brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (peraltro oggetto, fra i molti che si richiamano al suo pensiero, di diverse interpretazioni) o le opinioni di qualche rispettabilissimo vescovo ultra-conservatore vengono enfatizzate e finiscono per diventare l’unico criterio per giudicare la Sede Apostolica e per affermare, in sostanza, le proprie opinioni sulla Tradizione e la “messa di sempre”, a mio modesto avviso c’è qualcosa che non va. Si tratta infatti di una posizione opposta ma perfettamente speculare a quella di certo progressismo che presenta il Concilio come un elemento di totale rottura con il passato. Una lettura antitetica a quella di Benedetto XVI.

E poi, permettetemi, non è possibile lanciare continui appelli al Papa perché spieghi, chiarisca il Concilio; e poi far finta di non leggere e di non vedere quando lui o la Congregazione per la dottrina della fede, o altri dicasteri della Curia romana lo fanno, offrendo l’ermeneutica corretta rispetto a certe storture dovute non al Concilio e ai suoi testi, ma alle opinioni del post-concilio. E’ accaduto così con il discorso di Benedetto XVI alla Curia romana del 2005 (dove il Papa mirabilmente affrontò il tema della libertà religiosa, ripreso anche nel Messaggio per la Giornata della Pace del gennaio 2011), con la Dominus Iesus sull’unicità salvifica di Cristo, con la chiarificazione sul “subsistit in”.

La Chiesa è più grande delle nostre opinioni, il magistero del Papa va seguito anche quando il Pontefice non parla ex Cathedra, cio ché accade della stragrande maggioranza delle volte. Il cattolico sa che la Chiesa non è l’opera delle nostre mani, sa che siamo stati convocati da Qualcun Altro. Sa che Gesù, l’unica vera roccia su cui poggia la Chiesa, ha stabilito l’autorità del suo Vicario – un poverocristo vicario di Cristo, come disse con parole indimenticabili Giovanni Paolo I – fragile come ogni uomo, ma specialmente assistito dallo Spirito Santo.

Se guardassimo così al Papa, forse useremmo altre parole per definire ciò che fa e che ci chiede. Forse sapremmo metterci in discussione, perché ciò che ci salva non è la nostra idea di Tradizione, ma l’essere uniti a Cristo nella sua Chiesa, sotto la guida del suo Vicarioe ai vescovi in comunione con lui. Per questo, diceva il cardinale Giuseppe Siri, i documenti del Concilio vanno letti in ginocchio.

Permettemi un’ultima parola su mons. Marcel Lefebvre, oggi da alcuni presentato come un santo, un eroe, un combattente la buona battaglia per la verità contro il modernismo dei Pontefici… Non giudico e mi auguro davvero che sia in Paradiso, nonostante la scomunica. Ma un cattolico non può presentarlo come un esempio di santità. Se Lefebvre fosse stato un santo, nel 1988 avrebbe detto al Signore: “Mio Dio, io ho fatto tutto ciò che potevo per salvare l’autentica Tradizione che io ritengo in pericolo, e per combattere quello che credo essere uno spaventoso allontanamento dalla vera liturgia cattolica. Ora mi trovo di fronte a un bivio. Disobbedire al Papa per assicurare continuità alla Fraternità San Pio X, consacrando dei nuovi vescovi, oppure accogliere il suo invito e lasciar perdere…”. Ecco un santo (come Padre Pio, il santo di Pietrelcina) non avrebbe mai disobbedito al Papa, non avrebbe mai rotto l’unità della Chiesa. Avrebbe detto a Dio: “Io confido in Te. Se Tu vuoi che quest’opera continui, adesso devi farti avanti, perché io ho fatto tutto ciò che era umanamente possibile, ma ora non posso disobbedire al Tuo Vicario”.

Nel dirvi di nuovo Buon Natale, vorrei aggiungere a scanso di equivoci (che inevitabilmente ci saranno), che condivido il giudizio di Canizares sulla riforma post-conciliare, che ritengo vada scritta la parola fine agli abusi liturgici come pure al problema dell’assenza di autorità nell’episcopato, una delle cause principali alla mancata correzione degli abusi. Non sto, insomma, dipingendo una realtà rosea, perché rosea non è.

Ma non posso non manifestare qui, ancora una volta, l’assenza di carità e in qualche caso persino il disprezzo che leggo in alcune reazioni. C’è un dibattito manifesta l’esistenza di una guerra tra cristiani che si divorano tra di loro. Mi direte – e finisco davvero – che cos’ me la prendo solo con i cosiddetti “tradizionalisti” e non con i cosiddetti “modernisti” che sono molti di più. Beh, vedete, di fronte all’esempio di Benedetto XVI, ai gesti di riconciliazione che ha messo in atto verso il mondo tradizionalista, ci si sarebbe potuti aspettare che proprio da questo mondo sarebbe venuto il primo e principale sostegno per quel movimento liturgico che il Papa (non il sig. Ratzinger o il “papa” tra virgolette, come talvolta lo vedo definito nei deliramenta sedevacantisti) ritiene essere essenziale per la Chiesa oggi.

Il magistero della Chiesa, disse l’allora arcivescovo di Monaco di Baviera, Joseph Ratzinger, difende la fede dei semplici, di quelli che non scrivono editoriali sui giornali, che non hanno cattedre universitarie, che non pubblicano opere teologiche o libri di successo, che non vanno in Tv. E la fede dei semplici cattolici ha sempre saputo che Ubi Petrus ibi Ecclesia.

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